image: http://www.migrantes.it
Ho letto con interesse la sintesi del rapporto italiani nel mondo 2019 curato da Delfina Licata: purtroppo i dati confermano la mia sensazione ( qui l’articolo sugli emigranti) che esportiamo cervelli, troppi cervelli, e non riusciamo ad attrarne abbastanza.
Sono un fermo sostenitore del concetto di circolarità del fenomeno migratorio espressa con chiarezza nel rapporto. Fare esperienze altrove, interfacciarsi con altre culture, vivere in constesti diversi, portano ad un accrescimento culturale, sociale e morale a livello individuale, ma a livello di sistema paese occorre chiudere il cerchio ed assicurarsi che il valore aggiunto guadagnato dall’individuo sia poi redistribuito nella società che ha contribuito alla sua formazione.
La discussione sul tema del rientro (p.23) mi ha colpito molto e posso solo confermare come il sì, ma sia il punto iniziale di ogni risposta (btw, qui trovate il mio sì, ma e qui quello di Andrea Caputo - domanda 10).
Nel seguito, alcuni estratti da la sintesi del rapporto italiani nel mondo 2019 che reputo particolarmente significativi:
Continua, quindi, la dispersione del grande patrimonio umano giovanile italiano. Capacità e competenze che, invece di essere impegnate al progresso e all’innovazione dell’Italia, vengono disperse a favore di altre realtà nazionali che, più lungimiranti del nostro Paese, le attirano a sé, investono su di esse e le rendono fruttuose al meglio, trasformandole in protagoniste dei processi di crescita e di miglioramento.
la mobilità in sé non è un male ma raggiunge la sua completezza solo quando è circolare, ovvero nel continuo e proficuo scambio tra realtà nazionali tutte parimenti attraenti – anche per motivazioni diverse – per i lavoratori di qualsiasi settore e di qualsiasi livello.
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la percezione errata di una presenza straniera in Italia sempre più consistente. In realtà di stranieri in Italia ne arrivano sempre meno e anche chi tra gli immigrati ha acquisito la cittadinanza italiana vaglia sempre più spesso e, sempre più spesso mette in pratica, il trasferimento in un altro paese.
Per quanto concerne il livello di istruzione, in prevalenza gli emigrati italiani hanno un titolo di studio medio-alto (circa il 52,6% possiede almeno il diploma)
I dati registrati per il decennio 2008-2018 mostrano una propensione all’aumento continuo degli espatri, a fronte di un andamento pressoché costante del numero dei rimpatri.
gli individui che decidono di emigrare fuori dalla propria regione di residenza, scelgono sempre con più frequenza di risiedere all’estero rispetto a un’altra regione italiana
la crescita delle emigrazioni all’estero e la riduzione di quelle interne riguarda in modo diverso le ripartizioni italiane: è nelle regioni settentrionali che alla riduzione degli arrivi dalle altre regioni si abbina una evidente crescita delle partenze che determina saldi migratori negativi più consistenti rispetto alle altre ripartizioni geografiche
nell’ultimo decennio mediamente il 70% delle migrazioni dalle regioni meridionali e insulari verso il Centro-Nord sono state caratterizzate da un livello di istruzione medio-alto. Cedendo risorse qualificate, il Mezzogiorno ha ridotto le proprie possibilità di sviluppo alimentando ulteriormente i differenziali economici con il Centro-Nord.
Innanzitutto, è fisiologico che in un contesto globalizzato come quello attuale i giovani, soprattutto quelli formati ai livelli più elevati, decidano di spostarsi al di fuori del proprio paese di origine per studiare o svolgere attività di ricerca, nella consapevolezza della dimensione globale della formazione superiore. È però importante distinguere tra mobilità e migrazione, poiché a quest’ultimo concetto è attribuito un carattere di risolutezza e di necessità più che di opzione e di scelta. Il secondo aspetto da considerare è che il mercato del lavoro, anch’esso globale, è sempre più competitivo, veloce e teso verso il successo: ciò conduce inevitabilmente a migrazioni intellettuali perché i lavoratori saranno attratti dai territori che offrono loro maggiori opportunità di crescita e di valorizzazione. Se da una parte è positivo che il mercato del lavoro non conosca frontiere, d’altra parte il problema sorge quando il saldo tra coloro che lasciano un paese e quelli che vi ritornano o vi si trasferiscono è sistematicamente negativo.
È infatti importante creare reti che permettano di potenziare la mobilità per studio e per lavoro, ma in un’ottica di brain circulation e non di brain drain: favorire dunque la circolazione dei talenti, attraverso flussi bi-direzionali.
Tornare come ulteriore vittoria, come investimento nel paese di partenza di quanto appreso a seguito del contatto con una realtà altra. Tornare per compiere il processo migratorio perfetto che è fatto di circolarità, di radici che non devono essere mai spezzate, ma piuttosto allungate fino a toccare contemporaneamente più territori, più culture, più caratteristiche, identità molteplici. Radici che non si devono forzatamente tagliare, ma che ciascuno porta con sé ovunque vada, come un filo rosso che crea intrecci tra persone che si incontrano e luoghi che si conoscono. Con questo sentimento di non cesura, di nessuna divisione, non puntando solamente sulle differenze come opportunità di arricchimento (ciò che io non ho e che tu hai), si è spronati a fare un passo ulteriore superando lo stesso concetto di identità e la sua naturale rigidità che ha portato a dicotomie e separazioni – pensate, dette a voce o realizzate in pratica – tra “noi” e “loro”.
PS: ho appena richiesto il rapporto completo - lo speciale 2019 su “Quando brutti, sporchi e cattivi erano gli italiani” sembra davvero molto interessante.